Lo Spirito del Tempo (Intervista con Bob Dylan, 1979)

"Si, ho rappresentato lo spirito di quel tempo, ma se dovessi spiegare perché non saprei cosa dire. So solo che oggi non c’è più niente di puro, fatto con passione". (B.D.)

Com'era il mondo del rock quando lei arrivò a New York, all'inizio degli anni Sessanta?
“C'era una folle smania del twist. Immagino che ci fossero in tutto il paese anche piccoli spazi dove si faceva rock, ma era male­dettamente difficile.
Conoscevo dei tizi che suonavano al Village e che, per arrotondare, suonavano anche in club del centro come il “Metropole”, sulla Settima Avenue.
Erano locali alla moda: potevi suonare sei ore di fila e prendevi dieci dollari ma per tutto il tempo dell'esecuzione c'era una ragazza che faceva lo spogliarello.
Erano ingaggi piuttosto umilianti, ma dato che le finanze erano quello che erano, bisognava pur guadagnare qualche soldo. Però era trop­po duro. Ne venni fuori”.

E optò per il folk...
“La musica folle crea pubblico da sé. Perché ovunque, e in ogni momento, puoi prendere una chi­tarra e suonare. In quei tempi suonavamo quasi sempre durante i party”.
Sorpreso dal consenso di massa che poi ottenne?
“Veramente no. Me l'ero guada­gnato. Non è stata una cosa im­provvisa, sa? E' successo poco alla volta. Io lo sapevo quando avevo creato qualcosa 'di buono. Song to Woody, per esempio, nel mio primo disco: sapevo che nessuno aveva mai scritto prima qualcosa del genere”.

Ha mai pensato di aver pene­trato lo "Zeitgeist", lo spirito del tempo?
“Allora mi sembrava una cosa del tutto naturale. Ora, ripensan­doci, è vero che devo aver scritto
quelle canzoni "con lo spirito". Per esempio Desolation Row. Stavo proprio pensandoci l'altra notte: a versi come quelli non si arriva solo tramite un percorso logico. In realtà non so come l'ho scritta”.

Trova ancora l'ispirazione co­me allora?
“Più richieste ti vengono fatte, più è difficile trovarla. Una volta nessuno si curava di me, e quello è stato il momento più fecondo: quando a nessuno fregava un caz­zo chi fossi”.
La vita si complica man mano che gli anni passano.
Si. Diventi vecchio. Cominci ad essere più portato verso la fami­glia. A pensare di meno a te stesso. Però non ho nulla di cui lamentar­mi. Ho fatto ciò che volevo fare”.

Quali furono gli show più me­morabili degli inizi, che ancora ricorda?
“Oh, Dio, non lo so. Ognuno. Ogni notte davamo il nostro me­glio, come se il mondo finisse il giorno dopo”.

“Ora l'industria ha dimensioni gigantesche ma sembra che non crei più alcuna novità. Cosa pen­sa sia andato perduto?
La verità di allora è stata nascosta, sepolta, travolta dall'in­vasione del denaro e da una con­dotta rapace. Oggi c'è una parola d'ordine: sfruttare ogni cosa”.

E la gente è contenta di essere sfruttata?
“Direi che si mettono in fila”.

Le hanno mai chiesto di fare pubblicità?
“Oh, sì. Volevano utilizzare le mie canzoni per varie marche di birra e profumi e automobili.  Mi hanno contattato per tutta quella roba. Merda. Io non le ho scritte, non mi vedranno mai su quel pal­coscenico li”

Ascolta ancora gli artisti coi quali ha esordito?
“Quel genere non invecchia mai. Preferisco Bill e Charlie Mon­roe a qualsiasi disco recente. C'è l'America li dentro. Tempo fa inve­ce sono andato in un negozio di dischi: tra i nuovi non avrei saputo cosa comprare”.

Pensa che Prince abbia del talento?
“Prince? Si, è un ragazzo prodi­gio”.

Chi sono i più grandi artisti dal vivo che lei ha visto?
“Charles Aznavour. L'ho visto alla Carnegie Hall negli anni Ses­santa e mi ha fatto impazzire. Poi "Howlin' Wolf' che secondo me era il più grande artista dal vivo, perché in scena non aveva bisogno di muovere un dito. Non mi piace la gente che si agita.
La gente ritiene che Elvis si agitasse, ma non era così. Lui si muoveva con grazia”.

Mick Jagger si agita un po' troppo sulla scena, non le pare?
“Amo Mick Jagger, lo conosco da così tanto tempo e gli auguro sempre il meglio. Ma vederlo salta­re come lui fa, no, non mi piace. Non devi fare così, ragazzo!
Quan­to è più sofisticato e piacevole Ray Charles, seduto al suo piano, e però affascinando il pubblico, tra­smettendo ritmo e spirito. A cosa mai può servire saltare di qua e di là?”.

All'industria dello spettacolo...
“Non so. L'industria dello spet­tacolo io non so cosa sia. Io non vado a vedere qualcuno che salta qua e là. Odio vedere spettacoli di pupattoli e pupattole”.

Perché?
“Perché si prostituiscono. So­prattutto quelle svestite”.

C'è qualche complesso di valo­re sulla scena odierna? Che ne pensa degli U2?
“Si, gli U2 probabilmente reste­ranno parecchio sulla breccia. Ma anche loro man mano che passa il tempo perdono un po' di smalto. Ciò che sta avvenendo adesso nella musica è molto degradante. So­prattutto il rock & roll europeo è molto strano.
Viene da tutto quello che è stato fatto in America, eppu­re è cosi differente da Little Ri­chard e Chuck Berry. Era così pura, quella musica... Ora è stata degradata...
Devi uscire dall'Ame­rica se vuoi qualcosa di duraturo. L'America ti bombarda con troppa merda”.

Oggi vengono accettate molte delle cose che negli anni Sessan­ta erano disprezzate, ad esempio vivere per far soldi.

“Già. Io però non credo che ci sia un vero consenso intorno a ciò. Forse solo in America, ma l'Ameri­ca sta colando a picco”.

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